Così clandestino da non provarci nemmeno
a salire dalla stiva
per un po’ di sole, per l’acqua
per l’anno nuovo, la festa, l’approdo
così clandestino da negarmi lo sbarco
nemmeno agitare il cappello alla partenza
né all’arrivo

La Regina

Io lo so dov’è. Sta sotto quel salice basso, sulla riva di fronte. Lì la corrente fa un rimollo, rallenta, piega. C’è ombra fresca e il cibo arriva da sé, è la curva più ricca e tranquilla del fiume, solo lì può stare la Regina.

Ogni tanto passo, silenzioso, il battito sospeso e il respiro, anche. Qualche volta ho provato un lancio, di quelli senza convinzione, senza speranza. La posizione è difficile, una volta sei corto e un’altra agganci i rami. Una sola volta la mia moschina è arrivata a tiro, ma Lei non ha fatto nemmeno una piega, nemmeno un accenno di risalita. Lei sa già tutto, è mica venuta grande a caso, conosce l’insidia dell’uomo, ne diffida. Mica puoi credere di far salire la Regina con una moschina qualsiasi, roba buona per trotelle di vasca e di mangime.

Oggi è diverso, oggi mi sveglio sapendo che andrò là, su quella curva, sulla riva opposta alla sua. Oggi so che ci proverò.

Mi vesto con calma, scelgo la camicia più bella. Prendo la canna bella e dolce, il bambù. Poi sfilo tutta la coda dal mulinello, la pulisco, con cura la ingrasso e la ripulisco, e la riavvolgo. Rifaccio il finale, lego la punta di nylon sottile, controllo i nodi.

Poi faccio il caffè, la prendo con calma oggi, per vincere la fretta che mi trema nelle vene. Esco, fumo, cammino. Arrivo al fiume e il passo è lento, quasi solenne. Anche il prato è pronto, l’erba fruscia piano d’attesa. I pochi metri di scarpata che mancano alla riva, prima dell’acqua, li faccio a piuma. Non smuovo nemmeno un sasso, nemmeno la sabbia sposto. Il silenzio è tutto eppure è inutile, io so che Lei sa che sono lì. Scendo un po’ a valle, non può vedermi, e la distanza è notevole; e se anche scalpitassi un po’ di più non mi sentirebbe. Ma io lo so, lei lo sapeva già, mi aspetta.

Si fa vedere, una volta affiora una pinna, poi la coda. È una sfida che è sicura di vincere. Lei già lo sa.

Entro lentamente in acqua senza spostarne nemmeno un’onda, non un cerchio. Avanzo un metro, poi un altro, poi basta. Rimango ancora un po’ fermo, faccio depositare anche l’ultimo granello che posso aver smosso, faccio che la corrente dissipi il pulviscolo, che si schiarisca di nuovo. È quasi ora.

Dalla borsa prendo la scatola di legno, quella delle grandi occasioni, la apro e le ammiro un po’, la scatola e le bellezze che contiene. Su tutte una, quella mosca, mai usata prima, mai aveva toccato l’acqua, mai nemmeno era stata legata a un filo. Stava lì, lei bella nella scatola bella, attendendo il suo momento di gloria. O l’oblio per troppa bellezza. Anche la mosca sa che è l’ora. La lego con cura al filo, controllo il nodo, lo serro. Aspetto.

Non passa molto, la Regina riappare, questa volta la bocca, forte eppure delicata, non si produce in una fragorosa bollata, no. Lei bacia la superficie, pochi e piccoli cerchi che la corrente cancella in fretta.

Non posso fare falsi lanci, né posso tentare un avvicinamento graduale. Ho una sola possibilità di appoggiare la mosca a pochi centimetri da lei, servirà un lancio difficile e perfetto, lungo e veloce e teso e basso da riuscire a infilarsi sotto i rami del salice, delicato ché la posa non produca il minimo rumore. Estraggo silenziosamente tutta la coda necessaria, in due volteggi sta tutta in aria, parallela alla corrente… uno scatto, una secca rotazione, il lancio si fa improvvisamente perpendicolare, parte, si stende, si abbassa, fischia sotto il salice, rallenta, si appoggia la mosca all’acqua come cadendo da un ramo. Perfetto, mai più riuscirò a ripeterlo, ma tanto non ci sarà una seconda occasione. La mosca è lì, ci resterà poco, due, forse tre secondi, poi la corrente trascinerà a valle la coda e con la coda l’unica possibilità.

Uno… due… l’acqua si muove, schizza, si apre… non devo farlo, lo so, capisco, ma ormai l’impulso è partito… tiro, ferro… c’è. Viene su stupida e sguaiata, una trotellina spinnata di una spanna, scarsa, male allevata a mangime, male educata a saltare su qualsiasi cosa le arrivi a tiro.

La Regina infastidita dal fragore se ne va lentamente, la mosca è ormai bagnata e biascicata. Recupero e la tiro vicino. La stupidella rimane lì appesa, non riesco nemmeno a sganciarla.

SOLSTIZÎ III

A te era toccato l’ultimo giorno dell’anno
data tosta, pesante, importante
alto grado di indimenticabilità
la più solenne
non poteva bastare?

così hai voluto impossessarti del solstizio
anche
(che peraltro già era impegnato – tanto perché si sappia, l’altro pure è impegnato, e il ferragosto)

Tutta questa smania di occupare posti
sempre i migliori
la prima fila
segnarli con il solito cartello

RISERVATO

per poi lasciarli
tutti
immancabilmente
vuoti